Fuoristrada, Libri ed editoria, Recensioni

Sabrina Campolongo. Emma B.

Cari bolscevichi irriverenti, è da parecchio che non ci sentiamo! Sono riuscita a lasciarvi i miei consigli per i regali di Natale a tema russo, ma poi la vita mi ha fagocitato.

Ora però, con i primi giorni davvero produttivi dell’anno nuovo, sono finalmente tornata.


E torno con una nuova Recensione Fuoristrada: inizio l’anno in compagnia degli amici di Pagina Uno, in particolare della scrittrice e traduttrice Sabrina Campolongo.Abbiamo già fatto conoscenza con Sabrina grazie alla sua curatela delle antologie di Thomas Wolfe e di Francis Scott Fitzgerald.

Emma B.  è invece la sua ultima fatica letteraria.

Si tratta di uno struggente rileggere le vicende di Madame Bovary, con la differenza che le vicende sono ambientate nella provincia brianzola – ancora più avvilente per la fantasia – di quella francese originaria- e ai nostri giorni.

In linguaggio cinematografico questa narrazione si collocherebbe a metà strada tra il remake e il “liberamente ispirato a”.  

La nostra Emma moderna ha due figli da due mariti diversi, conduce una vita agiata ma noiosa da cui cerca di fuggire concedendosi effimeri lussi, acquistando oggetti che riempiano il vuoto che si sente dentro. Esattamente come Madame Bovary.

Non sembra cattiva Emma, ma già dalle prime pagine percepiamo che scorre in lei una vena pericolosa:   quella dell’insoddisfazione sotterranea. Emma non vuole confessarlo neppure a sé stessa, ma noi lo capiamo lo stesso: dentro di sé Emma pensa di aver perso il treno.

Ma quale fosse quel treno forse non lo sa neppure lei: l’unica cosa che sente è che la sua vita non le basta più, e sopratutto che non vuole lo stesso destino per sua figlia Elisa.

Basta una vacanza in crociera a scoperchiare il vaso di Pandora e a far perdere ad Emma il controllo. Durante una banale gara di karaoke Elisa rivela di avere una voce sensazionale.


Cantare per Elisa è soltanto un hobby: ma per Emma diventa invece la grande occasione per una fuga a due, la chiave che farà fuggire per sempre lei ed Elisa dalla vita banale della provincia brianzola, fatta di mamme annoiate e figlie anoressiche. 

Ma perché questa fuga diventi davvero possibile, non si impantani nella realtà, è necessario che Elisa sacrifichi tutto alla sua voce e al miraggio della fama.

Ogni cosa viene bruciata sull’altare di questo sogno, che prende un’andatura sempre più concitata, fino a sfociare nella tragedia.


Nel romanzo si ha la sensazione ricorrente che il tempo si restringa sempre di più, e che la corsa pazza di Emma non possa essere fermata.

L’alternarsi dei punti di vista coinvolge nella narrazione tutti i membri della famiglia, e contribuisce a rinforzare questa sensazione di ineluttabilità, perché nessuno sembra rendersi conto di quanto la situazione stia degenerando.

E si apre un quesito inquietante: non se ne rendono conto, o semplicemente non hanno abbastanza attenzione da dedicare a ciò che accade intorno a loro?

La differenza tra la nostra Emma e Emma Bovary – creatura decisamente priva di affetto materno – è che Emma B. vuole davvero bene ad Elisa, ed è convinta di agire nel modo migliore per il futuro della figlia. Ma si tratta di una figlia che in realtà non conosce affatto, e che ha già trovato la sua via di fuga dal grigiume da cui è circondata.


Il rapporto tra Emma ed Elisa appare comunque uno dei più sinceri nel panorama desolante di legami familiari aperto dalla narrazione: genitori e figli  sono i semplici abitanti di uno spazio – spesso squisitamente arredato – le cui traiettorie sembrano non incrociarsi mai.

Ci troviamo di fronte a un romanzo crudo nella sua minuziosa ricostruzione della realtà che ci troviamo intorno. 

Veniamo messi di fronte alla condanna senza speranza di un’intera generazione di genitori incapaci; di quella borghesia di provincia di cui è rimasto solo il guscio, e che non è più in grado di esprimere alcun valore.

Come giudicare Emma, alla fine? Avremo la tentazione di essere impietosi; ma alla fine, le uniche parole che vengono in mente per lei e tutti gli altri adulti sono quelle Claudio Lolli usa nel ritornello della sua “Borghesia”
” Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”.

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